(Foto: pixabay.com/CC)

Una delle lamentele comuni dei curatelati è che il curatore non è all’altezza del mandato conferitogli.

Purtroppo non posso dare torto alla maggior parte di coloro che si lamentano, cosa che ho potuto verificare di persona, ciò malgrado gli sforzi proferiti dal Cantone che organizza dei corsi di formazione.

Purtroppo se non si ha un’etica i soli corsi di formazione non servono a nulla.

Fare il curatore non è facile dal lato umano poiché, nella maggior parte dei casi, si ha a che fare con persone in situazioni di disagio, per lo più persone che hanno dei grossi problemi a gestire le loro risorse economiche, che possono essere suddivisi in tre categorie principali:

  • coloro, che su consiglio di qualche assistente sociale, richiedendo una curatela pensando che l’ARP paghi i loro debiti,
  • coloro a cui viene imposta una curatela a seguito al loro forte indebitamento,
  • coloro ai quali è imposta una curatela a seguito della scemata facoltà di autodeterminarsi e conseguentemente di amministrarsi.

Purtroppo il primo scoglio, nei casi di curatele istituite a seguito di importanti situazioni debitorie, è quello di far comprendere al curatelato che non potrà più disporre liberamente delle sue entrate, poiché sarà il curatore a decidere come debbano essere impiegati i suoi soldi.

Dopo dopo aver valutato le spese mensili deciderà uno “spillatico”, ossia quanto potrà avere a disposizione il curatelato per le sue necessità; si dovrà pure prevedere, nel limite della disponibilità residua, un eventuale piano di rientro dei debiti accumulati.

È pure indispensabile una cognizione di pratica amministrativa poiché si è confrontati con la burocrazia che richiede la conoscenza del funzionamento delle varie prestazioni sociali, conoscenze in ambito contabile come pure non guasta un’infarinatura in diritto.

Purtroppo la nostra burocrazia è sorretta da una moltitudine di regole farcite di eccezioni alle medesime, con l’impiego di una valanga di moduli, insomma per ogni semplice richiesta è necessario fare le solite “due righe” o riempire il modulo previsto all’uopo.

È quindi pacifico che il curatore debba avere una moltitudine di conoscenze e viene remunerato con una tariffa oraria da donna delle pulizie.

Diventa impossibile ottenere qualità a basso costo. Va da se che chi è qualificato, dopo qualche anno come curatore, malgrado la passione con cui si è intrapresa questa attività, lascia perdere.

Si hanno anche le scatole piene di confrontarsi con un ambiente così dequalificante e di ascoltare ogni giorno storie di pseudo professionisti che compiono illeciti ai danni dei cittadini.

I curatori qualificati sono molti pochi.

Oggi, con la situazione precaria del mondo del lavoro diversi curatori hanno intrapreso questa attività come impiego principale senza avere la minima idea a cosa vanno incontro.

Non trovando altri sbocchi lavorativi, si tengono ben stretti i mandati.

Chiaramente per riuscirci c’è uno scotto da pagare, ubbidire incondizionatamente ai diktat delle ARP, non mettere in discussione le loro decisioni, anche se palesemente strampalate e illegali, insomma mai contraddire e criticare l’ARP.

Fa riflettere il caso del tutore e dell’assistente sociale recentemente condannati per il caso della bambina maltrattata dai genitori affidatari. Questo è un chiaro esempio delle responsabilità e dei relativi pericoli che comporta l’attività di curatore/tutore.

In questo caso ci chiediamo se il procuratore pubblico abbia indagato anche l’ARP e se del caso quale siano state le sue conclusione considerando che, nessuno dei componenti dell’ARP di riferimento, è stato chiamato alla sbarra.

 

Articolo precedenteL’ARP 3 di Lugano spende 200mila franchi (altrui)
Articolo successivoBimba maltrattata, curatore e assistente sociale ricorrono