Questo articolo è apparso sul settimanale di approfondimento online ilCronista e lo riportiamo qui così come è stato pubblicato.
Oltre il danno la beffa. Il giudice Franco Lardelli, chiamato nel 2013 a dirigere la Camera di protezione del Tribunale d’Appello, ovvero l’organo di ricorso a cui si possono rivolgere i cittadini vessati dalle Autorità Regionali di Protezione (ARP) sostiene che soltanto 2 ARP sulle 16 dislocate nel Cantone funzionano.
“Sono in affanno, solo due Arp su 16 hanno un’organizzazione che funziona, ma anche queste sono al limite”, dice il giudice Lardelli. “Talvolta manca la professionalità voluta dal legislatore federale, indagini incomplete portano a conclusioni parziali”.
Inaccettabile Affermazioni certamente vere ma giunte con colpevole ritardo. Il giudice lo vada a dire alle migliaia di persone a cui le ARP hanno fatto danni morali, esistenziali ed economici. Lo vada a dire a chi non sa più nulla di figli, nipoti, padri e madri. Lo vada a dire agli anziani divisi dopo una vita insieme, lo vada dire a chi ha dovuto subire torti a iosa, a chi si è visto ridere in faccia dai funzionari delle ARP, del Cantone e della Camera che dirige.
Così è troppo facile. Così è di basso livello. Cosa intende fare ora il giudice Lardelli per rimediare ai danni fatti dalle ARP e che la Camera che presiede non è riuscita a limitare, nonostante avrebbe dovuto farlo?
Troppi cittadini, siamo nell’ordine delle decine di migliaia, attendono risposte serie, intelligenti, oneste e soprattutto aderenti alla realtà dei fatti. Risposte che non arrivano, silenzi istituzionali che salgono la struttura organizzativa fino ad arrivare alle porte del dipartimento delle Istituzioni, nonostante Norman Gobbi si rifugi dietro alla separazione dei poteri che, di fatto, risale al 2013 ovvero due anni dopo la sua prima esperienza al Consiglio di Stato.
Quei personaggi dubbi chiamati in Ticino Le ARP si avvalgono di consulenti esterni: psicologi, psichiatri, medici, periti di vario genere. Tra questi figura anche Elena Paltrinieri di Monza, assoldata dall’ARP 3 di Lugano per svolgere alcune perizie. Questa signora è finita sotto inchiesta in Italia e, nonostante questo, nessuno in Ticino si è preso la briga di controllare la bontà del lavoro che ha svolto per le Autorità Regionali di Protezione. Alle domande fatte nessuno ha risposto. Dopo il disastro, il silenzio. Questo è il modo in cui operano le autorità ticinesi? Oppure occorre accontentarsi di dichiarazioni tardive di chi, il disastro attuale, avrebbe dovuto evitarlo?
Che lo Stato rifonda i danni L’Associazione StopARP intende agire contro lo Stato, dopo avere raccolto e analizzato i casi più significativi, chiedendo che vengano risarcite le vittime delle ARP. Chi volesse farsi avanti può contattare l’associazione consultandone il sito web.