Se, in linea generale, la riforma tende a presentarsi come una sovrapposizione o un allestimento di nuove norme che possono tendenzialmente sanare – da un punto di vista prettamente giuridico – le enormi lacune riscontrate nell’attuale sistema di protezione, non vi è traccia o garanzia né di etica né di una efficace interruzione del ciclo di pregiudizi con cui vengono trattati i cittadini.
Qualsiasi problema deve essere risolto partendo dalle sue implicazioni etiche e soltanto dopo possono essere apportate le adeguate soluzioni, pena l’applicazione di accorgimenti che non estinguono il problema stesso.
Qui sotto e nelle pagine seguenti, attenendoci per brevità ai punti che più riteniamo dissonanti, non ci limitiamo a esprimere critica ma offriamo delle alternative applicabili e, per lo più, prive di costi.
Documento 1 punto 2 “Assi principali della riforma”
Creazione del “sistema Preture di famiglia”
Viene definito “un sistema astratto” chiamato a creare sinergie tra Preture e le nuove Preture di protezione. L’astrazione, di cui c’è grande bisogno, non può essere demandata a “sistemi astratti” ma alla trattazione dei temi su cui queste entità sono chiamate a chinarsi. Non si possono affrontare i bisogni delle fasce deboli della popolazione, a prescindere dalle circostanze che le rendono tali, soltanto su base scientifica ricorrendo a perizie e a pareri di esperti che si limitano a delineare i fatti senza indagare le origini dei fatti stessi.
Nella nostra esperienza abbiamo esaminato casi in cui sono emersi comportamenti dei singoli persino esecrabili ma, in tutta coscienza, entrando nei contesti di disperazione in cui questi sono avvenuti, nessuno di noi è pronto a giurare che, a parità di condizioni, si sarebbe comportato diversamente. Non è sufficiente identificare i “cosa”, occorre comprendere i “perché”. Questo è il compito maggiormente tradito dalle attuali autorità di protezione e, nella riforma, non c’è alcuna garanzia che questa sensibilità venga presa in seria considerazione.
Non emerge, inoltre, una componente etica accettabile: in tutto il documento non si pone – neppure come principio – l’accento sui comportamenti più che eccepibili da parte delle Autorità Regionali di Protezione (d’ora in poi “ARP”) né sui molti e controproducenti pregiudizi con cui queste esaminano i diversi casi con cui sono confrontate. Perizie “fotocopia”, ripicche, derisioni a danno delle utenze, inasprimento di misure e minacce persino inflitte con volontà di ledere. Di tutto questo non c’è traccia e questo coincide con una inequivocabile inefficacia della riforma.
Documento 1 punto 3 “Implicazioni principali”
Risorse umane
Non è sufficiente, a nostro avviso, che le “circa 90 unità di lavoro” vengano elette dal Gran Consiglio il quale, non potendo conoscere i candidati uno a uno, provvederebbe a una nomina “pro-forma”. Queste risorse, che dovranno certamente essere accettate dal Legislativo, dovrebbero superare un inter di accertamento che sia operato da un ente terzo e preveda una perizia delle capacità. Per quanto riguarda invece il passaggio di personale amministrativo dai Comuni al Cantone poniamo un fermo veto, giacché molto spesso abbiamo assistito a pericolose sovrapposizioni di ruoli in seno alle ARP, con segretarie che assumono decisioni e delegati comunali che frugano nelle cassette delle lettere dei curatelati. Poco importa se tali atteggiamenti siano o meno legali (e non lo sono), se di riforma si parla, allora che riforma sia: nessuna delle 90 persone che animeranno il nuovo assetto dovrebbe avere un passato – anche non continuativo – in seno a una delle 16 ARP.
Documento 2 Rapporto del Consiglio di Stato in materia di protezione del minore e dell’adulto e proposte legislative per la riorganizzazione del settore
Nell’impossibilità di argomentare un documento di 70 pagine senza omettere di entrare nel dettaglio, ci esprimiamo qui a ruota libera toccando i punti che più ci perplimono, trasmettendo però a chi legge il nostro totale sconforto davanti a ciò che abbiamo letto.
- Il rapporto Affolter e il rapporto dei gruppi di lavoro cantonali sono, rispettivamente, del 2008 e del 2010. Oggi hanno un valore assai relativo, considerando quanto sia cambiata la società nell’ultimo decennio e la modificata complessità delle problematiche emergenti dalle relazioni sociali, economiche e istituzionali. Fuori luogo operare riforme sulla scorta di una fotografia scattata 10-12 anni prima.
- Le criticità riscontrate nelle capacità delle ARP, elencate alle pagine 16 e 17 del Documento 2, sono molto parziali. Non c’è traccia di una delle più grosse mancanze che fa da collante a molte altre criticità non elencate: la seriale volontà di ledere quei cittadini che oppongono ricorso alle decisioni prese dalle ARP, le vessazioni, i sistemi punitivi attuati, le ingerenze nelle vite dei cittadini che si spingono al di là delle norme svizzere e sovranazionali (a tale proposito, a gennaio del 2020, abbiamo presentato tre casi emblematici senza alcuna risposta da parte vostra e neppure una minima soluzione abbozzata, aspetto questo su cui torneremo in chiusura).
- Non ci sono sufficienti riferimenti al diritto CEDU che la Svizzera, al pari degli altri paesi, deve recepire. Ribadiamo, seppure consci del fatto che più di uno dei lettori di queste pagine sarà sconfortato, che non ci si può più basare soltanto sul diritto elvetico e, a cascata su quello cantonale, giacché i tempi sono maturi per quel gesto di apertura che porta l’etica e la morale ad accettare l’esistenza di un diritto sovranazionale. Ignorarlo non risolve alcun problema e non trasmette volontà di cambiamento.
- Non ci sono sufficienti tracce di misure etiche e morali, oltre a non esserci un sistema di prevenzione dei pregiudizi che ormai annacquano ognuna delle 16 ARP.
- L’autorità che sbaglia in modo palese come rimedia ai propri errori? Le ricadute delle decisioni sui singoli (e quindi sulla società) come vengono trattate? (Si veda il punto f.)
- Esaminando le decine di casi sottoposti alla nostra Associazione, abbiamo costatato un effetto che è entrato con violenza nella vita dei cittadini vessati dalle ARP: si tratta del fenomeno noto in psicologia con il nome di “Impotenza appresa” e si verifica quando una persona, spinta dalla volontà di fare valere i propri diritti, si vede osteggiata al di là della ragionevolezza, derisa, pressata e calunniata e “getta la spugna” in ogni ambito della propria esistenza, cadendo in una sorta di anoressia emotiva che la taglia fuori da ogni contesto in ambito sociale, lavorativo ed economico. Questo (e altri) scotti che i cittadini devono pagare a causa di decisioni fuori misura, come vengono affrontati dallo Stato? Si limita a cercare di risolvere un problema causandone uno maggiore? Quanto è lecito che i cittadini si aspettino di più?
- Nel descrivere la riforma, lo Stato pone l’accento sui costi. Sarebbe interessante sapere quanti costi – diretti e indiretti – hanno causato le migliaia di decisioni avventate prese dalle ARP, in termini di ricadute sulla società.
- Fa sorgere in noi delle spiacevoli sensazioni il ricorrente uso, nella documentazione che ci avete fornito, dell’aggettivo “autorevolezza” che, a dire dei redattori dei documenti stessi, è scarsamente riconosciuta alle ARP dal cittadino. Una deriva semantica pericolosa: non può essere posto l’accento sull’autorevolezza delle autorità fino a quando queste si esprimono in modo autoritario. L’argomento, a nostro avviso, è trattato esclusivamente dal punto di vista dello Stato, senza tenere adeguatamente conto del fatto che lo Stato sono i cittadini.
- Con questa riforma lo Stato ammette, anche in modo implicito, che fino a oggi non ha saputo correggere un problema (quello delle ARP) che si è incancrenito con il tempo e che non è certo passato nel giro di pochi giorni da uno stato di perfetto funzionamento a uno stato disastrato. Chi paga i danni? Quale supporto viene dato ai cittadini che sono costretti a pagare le conseguenze di decisioni fuori misura, lesive e sbagliate?
Proposte di soluzione
- Lo Stato prevede un percorso terapeutico di supporto ai cittadini, vittime delle decisioni delle autorità, i cui costi ricadono sullo Stato stesso.
- Lo Stato prevede un ente terzo di supervisione, formato da osservatori civili e giuristi, che potrà esaminare a campione (con informazioni sensibili rese anonime) i casi trattati dal nuovo assetto di protezione e che potrà intervenire laddove lo ritenesse necessario, facendo ricorso anche agli organi sovranazionali. Per quanto ciò possa sembrare stonato, fa parte di un assetto democratico.
- Le persone che formeranno il nuovo assetto di protezione dovranno sottostare a una perizia delle capacità ogni 2-4 anni. Tale perizia dovrà essere svolta da enti esterni, anche di differenti Cantoni, affinché ci sia una rotazione che escluda il coinvolgimento dei medesimi enti.
- Le persone che formeranno il nuovo assetto di protezione avranno dei mandati di 4 anni al massimo. Tali mandati verranno rinnovati in base a principi meritocratici che sono fissati preventivamente dallo Stato.
- I dati relativi alle assegnazioni di approfondimenti ordinati dalle autorità di protezione devono essere pubblici: il rischio da evitare è quello che i mandati siano assegnati sempre ai soliti specialisti, al fine di non prestare il fianco a critiche di favoritismi.
- Le informazioni devono essere trasparenti e pubbliche e devono comprendere: numero e natura di casi sottoposti alla nascente autorità di protezione, numero di perizie e approfondimenti richiesti, numero e tipologia di privazione dei diritti. Il cittadino deve sapere cosa succede negli uffici pubblici, deve essere libero di farsi domande e deve ottenere risposte.
- I curatori vengono nominati e istruiti da un ente terzo e, al pari delle altre persone che animeranno il nuovo apparato di protezione, il loro operato verrà valutato con una certa regolarità.
Conclusioni
L’Associazione StopARP riconosce allo Stato e alle sue emanazioni una presa di posizione decisa, onesta e sincera. Un enorme passo avanti rispetto all’assetto di protezione attuale. Tuttavia, in virtù dei pochi punti esposti in queste pagine, la nostra Associazione si dissocia dai contenuti della riforma che resta necessaria ma non nell’ottica con cui è stata abbracciata.
Seppure involontariamente, fornendovi – come indicato in questo documento – dei casi esemplificativi durante il mese di gennaio del 2020, abbiamo centrato una serie di criticità che la riforma proposta non sarebbe in grado di evitare né potrebbe correggere. Porre rimedio a questi tre casi, esaminandoli nel dettaglio e coinvolgendo le parti lese, aprirebbe da sé un ulteriore approfondimento ai meccanismi della riforma stessa. Questo, la nostra Associazione, lo attende come atto dovuto di uno Stato realmente attento ai cittadini. Se lo Stato non avesse ascoltato soltanto le ARP di riferimento, si sarebbe facilmente accorto che queste, nel descrivere i casi e nel giustificare le decisioni prese, hanno palesemente mentito. Il fatto che nessuno, in seno allo Stato abbia voluto fare chiarezza, lede l’autorevolezza e la sensibilità dello Stato stesso e, con esse, quelle di tutti i cittadini.
L’impressione è che si sia valutato un problema sociale e morale attuale, ovvero del XXI° secolo, con un’intelligenza ferma ai problemi sociali e morali del secolo precedente.
Pertanto, vi chiediamo di volere congelare questa riforma e coinvolgere gli osservatori civili, tra i quali la nostra Associazione che si pone a completa disponibilità e a titolo gratuito, affinché si possano trovare soluzioni effettive che non siano soltanto una riconfigurazione di equilibri. Nello specifico:
- Soluzioni che si dipanino partendo da interrogativi etici
- Soluzioni che contemplino il recepimento delle sentenze CEDU
- Soluzioni che prevedano il rinnovo meritocratico delle persone che formeranno le nuove autorità
- Soluzioni che prevedano trasparenza nelle informazioni
- Soluzioni che prevedano un percorso di formazione e una valutazione dell’operato dei curatori
Così come concepita, questa riforma applica un modello nuovo di trattazione dei casi senza però entrare nelle dinamiche dei problemi, né si evidenziano meccanismi atti a evitare che, come è successo con le ARP, l’assetto sfugga al controllo del governo, del parlamento e delle norme.