Il prossimo 30 ottobre i ticinesi dovranno decidere se le ARP saranno da cantonalizzare o tutto dovrà rimanere così come è.
Molti cittadini si sono rivolti alla nostra Associazione chiedendo informazioni. Informazioni possiamo darne a iosa, raccomandazioni di voto no perché StopARP ha piena fiducia nelle persone e ritiene di non doverle influenzare.
In quest’ottica raccontiamo le cose come sono, facendo soltanto poche considerazioni e lasciando a ogni singolo individuo il dovere etico e morale di decidere secondo il proprio parere.
La situazione attuale
Le ARP non funzionano. Se funzionassero la nostra Associazione non esisterebbe o, in qualunque caso, sarebbe molto meno indaffarata.
Le ARP non funzionano: lo dice la necessità di cambiarne l’assetto – che è poi l’obiettivo della cantonalizzazione. Che non funzionino lo dice anche il giudice Franco Lardelli, a capo della Camera di protezione del Tribunale d’Appello, l’organo che sovraintende all’operato delle ARP stesse.
Il primo problema delle ARP è che chi le forma è consapevole dei disastri che potenzialmente può fare e non si impegna per cambiare le cose dall’interno, come se fosse compito delle utenze o di una forza provvidenziale a modificare le cose. (Giudice Lardelli incluso e, forse, in primis).
La situazione attuale è presto detta: violazioni continue del diritto interno e di quello internazionale, abusi e interpretazioni dei fatti pregiudizievoli.
La situazione futura
Ci sarà un tribunale di famiglia. Le ARP, da organi amministrativi comunali diventeranno organi giuridici cantonali. Il voto del 30 ottobre rappresenta l’ok del popolo, poi le autorità lavoreranno al progetto. E qui è doverosa una prima riflessione: per creare una similitudine, ci troviamo davanti a un costruttore edile che chiede un corposo anticipo ai futuri proprietari degli appartamenti quando i lavori di costruzione non sono ancora iniziati. Si può acconsentire a patto di avere piena fiducia nei confronti del costruttore. Le persone che costruiranno il nuovo assetto di protezione meritano fiducia cieca? Ognuno risponda per fare proprio.
Un cambiamento, quello che desiderano governo e parlamento, sul quale si può parlare a lungo ma soltanto dopo avere capito cosa lo Stato intenda per “cambiamento”. Le 16 ARP diventeranno quattro preture di protezione dislocate a Bellinzona, Locarno, Lugano e Mendrisio ma se le persone che oggi compongono le ARP fossero completamente riassorbite nel nuovo assetto non cambierebbe nulla, se non l’intestazione della loro busta paga. Allo stesso modo, non è la struttura organizzativa delle ARP a essere messa in discussione, sono messe in discussione la propensione ad applicare norme e leggi in modo convulso, a lavorare in modo perfettibile ed elefantiaco e al sottomettere i cittadini “meno collaborativi” a punizioni che non hanno nulla di civile, legale e democratico.
A questo pensiero, peraltro irrispettoso dell’intelligenza del lettore per banalità e piattezza, vanno aggiunte delle considerazioni che vengono offerte dalla direttrice della divisione Giustizia (ufficio subordinato al dipartimento delle Istituzioni) Frida Andreotti. Dichiarazioni rilasciate al Quotidiano del 18 ottobre 2022. Qui il link al video. La parte dedicata alle ARP inizia al minuto 19:30 circa.
Per accompagnare il lettore indichiamo il minuto relativo alle dichiarazioni dell’avvocato Andreotti sulle quali occorre riflettere.
Minuto 00:56
“Si parla tanto del ministero pubblico ma ci si va se c’è alla base qualche indizio di reato eccetera. Alle ARP ci si va anche senza nessuna colpa e quindi può toccarci così a tutti noi o a un nostro famigliare magari [incomprensibile] è nel nostro interesse che queste autorità funzionino meglio“.
Le cose importanti in questa frase sono, a nostro avviso, due:
- “Alle ARP ci si va anche senza nessuna colpa”
- “… è nel nostro interesse che queste autorità funzionino meglio”. Occorre capire se “nostro” è aggettivo o pronome. In ogni caso, come vedremo più avanti analizzando le dichiarazioni della divisione Giustizia, “nostro” non vuole assolutamente dire “di noi cittadini”.

Minuto 22:18
Le ARP trattano 12mila casi l’anno circa. Ogni anno il 3% circa della popolazione ticinese risulta problematico. Deve essere qualcosa contenuta nell’acqua dei rubinetti, altrimenti non si spiega. Il sospetto è che le ARP creino casi dove non esistano e poi (come abbiamo visto in questo caso) non riescono a gestirli.
Le misure in atto sono 6.224, 1.414 per la tutela dei minorenni e 4.810 per adulti in difficoltà. Le misure sono tutele, curatele e collocamenti in istituti.
Una suddivisione senza senso. Facciamo un esempio molto banale: Mara e Aldo hanno una figlia, Ilaria. Mamma e papà stanno passando un momento finanziariamente delicato, non perché sono genitori incoscienti, ma perché entrambi hanno perso il lavoro e Mara ha accusato il colpo e paga lo scotto di una lieve depressione. Incombe l’ARP che impone una curatela a Mara e Aldo, quindi una protezione per adulti.
Il curatore amministra le entrate della famiglia e cerca di accontentare tutti i debitori. Ilaria una sera vuole andare al cinema (al cinema, non a Disney World) ma mamma e papà non hanno i soldi: li hanno, ma non ne possono disporre. Siamo certi che sia una misura “in favore” soltanto di adulti?
Minuto 24:35
Nicola Corti, ex pubblico ministero del Cantone e oggi granconsigliere e membro della Commissione giustizia e diritti, sostiene che il grosso problema è quello dei costi cantonali e comunali. Poi, dice Corti, bisogna vedere come le preture riusciranno a rendere esecutive le decisioni che prenderanno. Questi i suoi crucci: durante la trasmissione tv non ha speso una parola sulla necessità di offrire al cittadino un servizio meno invasivo e abusante.
La riforma costerebbe 6,2 milioni in totale. Nella stessa edizione del quotidiano, il consigliere di Stato Claudio Zali sostiene che una spesa di circa 33 milioni di franchi per un collegamento in Leventina non sia un investimento folle. Si possono condividere le parole del presidente Zali, viene da chiedersi perché 6,2 milioni per risollevare le sorti di cittadini vessati da istituzioni generalmente incompetenti sia denunciato come un problema.
Minuto 28:15
Interviene nuovamente l’avvocato Frida Andreotti sostenendo che occorre favorire una mediazione tra genitori durante procedure di separazioni e divorzi. Ancora una volta viene offerta una soluzione generica che fa capo a un ente o un’istituzione e non alle persone. Bene la mediazione, ma chi è il mediatore? Alla nostra Associazione sono noti casi in cui mediatori hanno fatto disastri notevoli, complicando una situazione che poi l’ARP non ha saputo risolvere se non con il guanto di ferro penalizzando le parti in causa. L’idea può essere buona ma la riforma delle ARP deve portare fatti concreti, non soluzioni potenziali soltanto sulla carta. Mediazione? Ottima idea. Mediatori incompetenti? Idea meno buona.
Si arriva così al minuto 30:00, quello in cui si parla delle perizie psicologiche o sulle capacità genitoriali, che sono il più grande strumento utilizzato dalle ARP e che, stando almeno alla giurisprudenza Cedu, non sembrano sempre accettabili nelle formule in cui sono somministrate. L’avvocato Andreotti dice che: “Le perizie fungono da elemento nella decisione, non sono la decisione“. Ha ragione in teoria, in pratica no. Se uno specialista sostiene che un genitore sia inadatto, le ARP tendono a non assumersi la responsabilità di prendere decisioni contrastanti con quelle del perito.
Vi rimandiamo al minuto 29:30 laddove il presidente di StopARP Orlando De Maria evidenzia perizie fatte al telefono e perizie durante le quali lo specialista suggerisce alla persona posta sotto perizia quali risposte dare.
C’è il rischio che le ARP facciano ricorso alle perizie per confermare decisioni già prese. Si tratta di un’affermazione grave ma l’esperienza della nostra Associazione conduce in questa direzione.
Poi, continua l’avvocato Andreotti: “… è l’equilibrio che potrà cambiare, nella valutazione di una perizia che verrà già chiesta all’inizio in maniera più efficace“.
Le cose importanti qui sono due: la perizia come concetto in sé, e la richiesta “all’inizio”.
Secondo la legge svizzera ci sono casi in cui un cittadino può essere posto sotto curatela solo di fronte a problemi fisici o mentali. Le ARP tendono a dimenticare questo principio e, dopo avere deciso di porre un cittadino sotto curatela, davanti alla recalcitranza di quest’ultimo, si attivano per commissionare una perizia la quale (in molti casi) conferma un malessere mentale del cittadino. Ora questo procedimento penoso, gravoso (la perizia la paga il cittadino), invadente, umiliante e non necessario può essere fatto all’inizio.
Come dicevamo in apertura: quando l’avvocato Andreotti dice che “… è nel nostro interesse che queste autorità funzionino meglio”, cosa intende per “nostro”? Lo Stato o i cittadini?
Cosa vuole dire? Lo spieghiamo con un esempio: Mario viene posto sotto curatela e fa ricorso. Il giudice di appello gli dà ragione perché non c’è prova di un suo malessere mentale. L’ARP allora deve rifare tutto daccapo. Il cittadino è “libero”. Se la perizia viene fatta all’apertura dell’incarto e (come spesso capita) indica i presupposti psicologico-psichiatrici per porre il cittadino sotto tutela, non c’è ricorso che regga. Il cittadino è vessato, lo Stato sollevato da responsabilità. Qual è, nello specifico, il “nostro interesse”?
In conclusione
Ogni Stato ha necessità di proteggere le fasce più deboli della popolazione. Ma ci vogliono standard e leggi chiare per definire lo stato di bisogno e le misure da adottare. Le ARP non sono riuscite a creare nulla di simile, con la compiacenza del parlamento, del governo e di tutte le parti coinvolte. Ora, esattamente, quale sarebbe il cambiamento? Quali garanzie ci sono che il cambiamento sia tale?
Ognuno voti secondo coscienza. Occorre coraggio e i ticinesi ne hanno da vendere.